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Ancora sui Briganti del Sud anno 1809

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Ancora sui Briganti del Sud anno 1809 Empty Ancora sui Briganti del Sud anno 1809

Messaggio  Giovannimaria Ammassari Gio Feb 18, 2010 10:29 am


Carissimi,
Ho trovato questa pagina web relativa ad un Eccidio dimenticato forse dai più :


Dal Sito:
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<< BICENTENARIO DELLA STRAGE DEGLI INNOCENTI DI CRICHI


Cronaca
dell’eccidio del 1809


di
Marcello Barberio




A fine luglio 1791, nella chiesetta di Crichi, a 6 miglia
da Catanzaro, il cappellano perpetuo D. Francesco Mantia così (1) si rivolgeva
ai suoi compaesani, con l’omelia domenicale:

“Carissimi fratelli in Cristo,

[…] grati salutiamo l’internunzio dell’utile Signore della
Terra di Simeri, il signor Duca Giuseppe Barretta, Patrizio della città di Trani,
di Mesagne e di Mantova e cavaliere dell’ordine Gerosolimitano, nonché i suoi
Officiali, unitamente al Sindaco D. Michele Cundari, ai Decurioni, ai Reggitori
di questo Casale, ai Deputati di salute pubblica, Felice Madia e Domenico
Pileggi, al medico ordinario dottor fisico Pompeo Cundari, con i medici Corea e
Sturno di Albi e di Sellia, che tanto si sono prodigati per la nostra comunità,[
…] durante i tristissimi mesi del morbo, [...] Il nostro amatissimo Vescovo e
Presidente della Regia Giunta di Cassa Sacra, che benevolmente si degnò, con
Bolla del 29 giugno 1789, di elevare la nostra chiesa rustica alla dignità
parrocchiale, sotto il titolo di San Nicola di Bari, confermando la mia persona
alla cura delle anime […] di degnamente celebrare una messa solenne di
ringraziamento per la fine del terribile morbo della febbre carceraria tifoidea
di quest’inverno e di istituire un Vespro in onore del Patrono, con Sacro triduo
in tempo di calamità, come sono pestilenze, siccità, carestie e alluvioni.




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Crichi, Chiesa matrice




[…] Per il pericolo che il morbo possa diventare colera,
il Protomedico di Catanzaro ha inviato una lettera di precetti e cautele di
vantaggio della pubblica salute,Ci ricorda che per la via della bocca possono introdursi i
germi condensati dai perniciosi vapori e che i seminj malefici della malattia
attaccano di preferenza i plessi addominali, provocando perforazioni ed
emorragie intestinali e ingrossamento di fegato e milza.

Dobbiamo far decantare l’acqua di pantano e bollire quella
da bere,[ …] pulire il tratto di strada della nostra abitazione, trasportare
fuori paese i cumuli di materie putride e fetenti, cambiare spesso i lino dalle
gambitte, fare lontano i bisogni corporali, meglio in una fossa a latrina.
Inoltre, le acque di pubblici pozzi e fonti destinate all’uso degl’individuj e
anche dell’abbeveraggio degli armenti, dovranno tenersi monde, senza lasciarvi
colare e comunque permeare o gettare delle sozzure ed immondezze, atte a
contaminarle.

[…] gettare in luoghi aperti e remoti le conserve e i
rifiuti pericolosi, come sono animali morti.

Nelle gibbie e nelle fonti non devono lasciarsi morire le
sanguisughe, utili alla cavata del sangue e per allontanare il male, con l’acido
vetriolico [. ] Lo speziale e la levatrice hanno ricevuto istruzioni per
contrastare il morbo [ …] In tutta la Calabria Ultra, e nella Citeriore, domina
una malattia degli eccessi venerei, detta sifilide: solo nella cattolicissima
Catanzaro vi sono 9 lupanari e nessun dispensario. Si astengano […]Vi leggo la
perizia del capitano del Corpo del Genio, l’ingegnere D. Claudio Rocchi,
direttore del Ripartimento della Cassa Sacra di Catanzaro, sui ripari da farsi
in questa nostro Tempio, che ascendono a ducati 482, grana 58 e calli 10,
comprensivi del lastrico nuovo con pietra di Gimigliano. Il picciol campanile
con le due campane alla maniera capuccinate deve essere spostato nella parte
anteriore della chiesa, poiché i contadini non sentono i rintocchi e si perdono
la messa e l’annunzio del vespro. Il carnaro sotto pavimento è l’unica sepoltura
della chiesa ed è tanto pieno che non è suscettibile di altri cadaveri e la
gente morendo si deve seppellire nelle vicine campagne. Noi suggeriamo di
costruirne una nuova e più capace lontano dall’abitato, con l’ ampliare la
sepoltura del vignale del romitorio della chiesetta rurale di Porticello. Il
nostro Vescovo Spinelli ci autorizza a utilizzare gli introiti delle elemosine,
le offerte dei fedeli possidenti, il beneficio del Monte dei Morti, le offerte
degli Officiali della Confraternita del SS Sacramento di Sellia (come sono il
dottor fisico e sindaco Giacinto Salerno e D. Nicola Lostumbo), i lasciti dei
fittavoli dei mulini e dei boschi ducali.(2)

Ora [ ].raccomandiamo le anime dei morti dell’epidemia
[…](3)

A ricordo dello scampato pericolo del morbo epidemico e del
terremoto del 5 febbraio 1783, che quasi risparmiò questo Casale, mentre
mieteva vittime e provocava danni nei paesi vicini, istituiamo, col placet dei
superiori, una processione votiva in onore del nostro santo Patrono San Nicola,
da tenersi in perpetuum alla terza domenica di maggio. L’introito sarà devoluto
per la dote delle projette e delle fanciulle bisognose e pel mantenimento di
giovani seminaristi locali. Infine […]. “

Qualche tempo dopo, il 6 settembre 1799, nella restaurata
chiesa di Crichi, l’anziano parroco Mantia, con gran concorso di fedeli,
accoglieva trionfalmente il nuovo feudatario dello Stato di Simeri, Soveria e
Crichi, l’eccellentissimo barone D. Emmanuele De Nobili, con la moglie Donna
Olimpia Schipani e col canonico decano del Capitolo Cattedrale di Catanzaro,
D.Domenico De
Nobili.


“[…] Il Barone prende possesso di questo Casale, jure
proprio et in perpetuum, non per forza, ma per ogni migliore maniera, con tutte
le sue Ville, Castello, ossia Fortezza e Torri, vassallaggi, rendite, angarj e
parangarj di qualsivoglia sorte e condizione, Banco di Giustizia et omni moda
giurisdizione e cognizione della prime e seconde cause civili, criminali e
miste, mero e misto impero, Giudici, Baglivi e Officiali di qualsivoglia sorte
soliti a crearsi, adoe, rilevi e censi, edifici, trappeti, molini,




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F. Goya, Fucilazione del 3 maggio 1808




posture di olj, vigne, boschi, erbaggi, dogane, dazi,
Portolania, pesi, zecca, laghi, fiumi, grazie e benefici, spettanti, tam de jure
quam de consuetudine […] Dopo il canto del Tedeum, la corte si trasferirà
all’altro Casale di Soveria, al casino della Petrizia e a Simeri, dove il
castello è diroccato oramai dal tempo dal tempo del terremoto del 5 febbraio
1783, che rovinò l’antica Terra con la residenza ducale, le chiese di Santa
Maria dell’Itria e di San Leone, il convento dei Padri Minori Cappuccini e l’ospedaletto
di mendicità di San Giacomo.

Il signor procuratore dell’eccellentissimo signor duca
Giuseppe Barretta, alla presenza del sindaco D. Fiore Longo e del clero tutto,
consegnerà le chiavi dello Stato al nuovo signore[…]

Un pensiero commosso va al Presidente Winspeare e
all’Uditore della Regia Udienza, D. Angelo Fiore, che seppero serbare alla fede
della corona del nostro amatissimo Re Ferdinando e della Regina Maria Carolina
tutti i Casali vicini, ad eccezione di Taverna e Catanzaro, dove i giacobini
piantarono l’infame albero della libertà. Cosa non riuscita da noi, per l’opera
del Governatore D. Massimo Governa e per l’azione della squadriglia di volontari
di Domenico Piperi, che seguì il Cardinale liberatore fino a Napoli, mettendosi
infine al servizio del ministro dell’Interno Vincenzo De Filippis di Tiriolo (4)
[…] L’illustre barone mi ha comunicato la sua volontà di confermare nella carica
il Governatore e gli appaltatori della Mastrodattia e della Bagliva e di
concedere la grazia ai detenuti delle carceri di Soveria, con esclusione degli
infedeli barbareschi catturati alla marina […] intende fortificare la
sorveglianza ai lidi del mare, con la formazione di una milizia urbana, a
sostegno dei cavallari della torre di guardia della Petrizia […].”

Intanto nelle varie “cupe” continuavano a trovare
rifugio le bande brigantesche, proseguendo l’indistinta protesta contro la lunga
oppressione.

Briganti” li avevano definiti i Francesi del
generale Championnet, a gennaio del 1799, quando avevano proclamato la
Repubblica Partenopea. Ma “brigante è una parola quasi magica […] Chiamateli
ribelli, se volete; ma questi ribelli non combattono il nuovo governo che per
fedeltà all’antico; se fossero vittoriosi, essi vi chiamerebbero anche
briganti?”, annotava Astolphe De Custine(5)


Uomini violenti e assetati di odi e di vendette, temuti e ammirati dalla
popolazione, razziatori generosi, capipopolo e strozzini, delatori e partigiani:
su di loro continua a interrogarsi la moderna storiografia.



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Crichi, Caserma delle Guardie Civili e poi dei
Carabinieri








Per certo il brigantaggio non fu un semplice
e virulento fenomeno di delinquenza comune, nato e alimentato dal disagio
estremo delle masse contadine, dalla miseria e dalle ingiustizie, e fomentato
dai circoli borbonici e dai latifondisti in funzione di freno delle idee
libertarie d’Oltralpe. Spesso i capimasse erano alla testa dell’insorgenza
realista e dei Cacciatori di Carolina, distinguendosi per l’inaudita ferocia:
così Francesco Muscato “Vizzarru”, Paolo Mancuso “Parafrante”,
Angelo Paonessa “Panzanera”, “Fra Diavolo”, Giovanni Barberio “Occhidipecora”,
Cicco Perri, Nicola Gualtieri “Panedigrano”, Geniale Versace Genializ,
Francatrippa, Arcangelo Scozzafava Galano, Giuseppe Benincasa
Viceré
e il domenicano Padre Rosa.

Altre volte i loro cadaveri penzolavano dagli alberi dei
viali dei villaggi, dai campanili delle chiese oppure le loro teste mozzate
venivano messe in mostra dentro urne di vetro, come monito alle popolazioni del
contado, che “abitano in pianterreni privi di luce e di ventilazione[…] Grandi
e piccoli, uomini e donne insieme all’asino e le galline”.(6)

Sull’impenetrabile rete di connivenze - dei manutengoli
e dei galantuomini - così proclamava nel 1809 il Consiglio di Calabria
Ultra: “I ministri dell’altare han ben fomentata ed animata la rivolta e

il brigantaggio fra tutte le province, e specialmente nella
nostra Calabria”.

Estate 1806: la Calabria era
occupata dalle truppe di Giuseppe Bonaparte, mentre la corte borbonica era
rifugiata in Sicilia. Il 29 giugno Fra Diavolo occupava Amantea e due giorni
dopo il generale britannico John Stuart sbarcava nella piana di S. Eufemia con
un corpo di spedizione di 3236 uomini (briganti e regolari anglo-borbonici) e 16
cannoni. Il 4 luglio, la colonna francese di 6112 uomini e 6 cannoni, al comando
del generale Jean Reyner, tentava di ricacciare gli avversari in mare, subendo,
però, una pesante sconfitta: 500 morti, 300 feriti e 1.100 prigionieri, in gran
parte briganti. Reyner batteva in ritirata verso Marcellinara e Catanzaro,
mentre s’infiammava l’insurrezione antifrancese delle masse calabresi. Il 30
ottobre, 600 realisti piombavano sui Francesi a Pedace e giustiziavano in piazza
23 prigionieri, bruciandoli vivi, nell’orrore generale.

A Catanzaro, però, le truppe
francesi conducevano “ una vita molto beata” – Duret de Tavel: “Séjour d’un
officier francais en Calabre
” – “gli abitanti sono i soli in tutta la
regione che usino cortesie verso i Francesi. Le donne sono celebrate come le più
belle […] ci sono numerosi ricevimenti dove si suona e si fanno giuochi […]
Fuori il brigantaggio solleva la sua testa odiosa e l’ignoranza e la barbarie
sono le doti naturali del popolo. I Calabresi sono i selvaggi d’Europa!”.

Intanto, col nuovo ordinamento
amministrativo napoleonico, il vecchio Parlamento a suffragio universale
maschile veniva sostituito dal Decurionato, cioè da 10 Eletti possessori, che a
maggio sceglievano il Sindaco e gli Officiali. Terminava la feudalità.

Estate 1809: con la spedizione
anglo-borbonica nel Golfo di Napoli, si registrava una forte ripresa del
brigantaggio in Puglia, in Irpinia e nella Calabria Ultra, dove il popolo “rozzo
e primitivo” era aizzato dagli “esosi padroni e dagli antichi vacui feudatari”
(U. Caldora).Da una relazione dell’Intendente Giuseppe De Tomasis (ASN- Carte
Carbone), risulta che i proprietari terrieri di Catanzaro avevano armato una
colonna mobile di 100 uomini, per contrastare i briganti della Provincia, che
imperversavano nei loro terreni e saccheggiavano mulini e trappeti :


“Terminata la guerra esterna si accese la interna, vasta quanto non mai ed
orrenda. I briganti lasciati sopra terra nemica non avevano altra salute che
vincere, e, per la simultanea loro entrata in tutte le province del regno, fu
generale l’incendio. Quando le milizie assoldate erano state nei campi, e la
civile a difesa della città, i briganti avevano dominato spietatamente nella
campagna, e perciò, liberi e fortunati per due mesi, crebbero di numero e di
ardire: formati in grosse bande sotto capi ferocissimi, una entrò in CRICHI,
paese di Calabria, e dopo immensa rapina, fuggiti quei che per età robusta
potevano dar sospetto di resistenza, vi uccisero quanti vi trovò, vecchi,
infermi, fanciulli, trentotto di numero, tra i quali nove bambini di tenerissima
età.”


Così
riportava Pietro Colletta, in “Storia del Reame di Napoli dal 1734 al 1825”.




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Domenico
Cefaly, La novella strage degli innocenti di
Crichi del 1809





Giuseppe
Poerio, Commissario straordinario del re in Basilicata e in Calabria, così
riferiva il 4 luglio 1809 da Catanzaro al Ministro dell’Interno: “I
briganti della scellerata banda di Bartolo, avendo incontrato nei legionari di
Crichi la più eroica resistenza, sfogarono il loro furore immolando venticinque
impuberi figli di questi bravi difensori della patria. Tale orrenda tragedia mi
ha richiamato per brevi momenti in questa città, onde sistemare i mezzi più
vigorosi di sterminio contro i mostri che si son tinti di un sangue sì puro e
sì innocente
(Società di Storia Patria, XXX a.8, fascio 2252).

Alla pagina
37 del Liber Mortuorum (1793-1822) della parrocchia di Crichi, Don
Francesco Mantia annotava i nomi delle vittime locali massacrati “a
brigantibus”: Francesco De Mare (a.62) e la moglie Barbara Giglio (a.65),
Francesco Sacco (a.60), Nicola Chiarella (a.24), Costantina Zinzi moglie di
Bruno Talarico (a.80), Elisabet De Fazio vedova di Nicola De Placido (a.70),
Lucia Cimino moglie di Sebastiano Scozzafava (a.50), Liberto Muraca marito di
Teresa Talarico (a.50), Domenico Terzo di Giuseppe (a.22), Teresa Pettinato
vedova di Giovanni Moraniti (a.58), Antonio Deodato vedovo di Eugenia Sacco (a.80),
Vincenzo (4 anni) e Maria (2 anni) Chiarella di Domenico e di Caterina
Pettinato […]: supradicti reddiderunt anima Deo sine sacramentis et corpora
eorum sepulta fuerunt in Ecclesia Parochiali”.

Nei giorni
successivi morivano altre 11 persone, confortate dal sacramento dei morti:
Pasquale Mirante (22 anni) di Nicola, Rosa Cavarella (70 anni) vedova di
Fortunato Durante, Domenico Zangaro (8 anni) di Vincenzo e Rosanna Terzo, Nicola
Marincoli (60 anni) marito di Anna Madia, Saveria Perricelli (40 anni) moglie di
Saverio Catizone (“in campanea redditit anima Deo morte subitanea”), Tommaso
Giulino (40 anni) marito di Antonia Zangaro (“massacratus a brigantibus”),
Elisabet (70) Talarico vedova Levato, Stefano Spanò (20 anni) di Francesco e di
Saveria Perricelli, Margherita Pullano (40 anni) pentonese, Saveria Pullano (45
anni) moglie di Nicola Sacco.


Verosimilmente i cadaveri dei Francesi (stranieri odei
casali di Maranise, Sorbo, Pentone, Magisano et civitaty Tabernarum) furono
tumulati altrove.(7)

Nelle stesse
Carte Poerio” (ASN) vi è la lettera con la quale il ministro della
guerra rispondeva in data 5 luglio ad analogo rapporto del Commissario,
confermando le notizie della strage.

Nelle
“Carte Carbone”
(ASN. fascio 1310), allegato al decreto di Gioacchino Murat
(Monteleone,10 agosto 1809) contro le “masse”, è allegato un foglio
firmato dal generale Cavaignac e dall’Intendente Giuseppe de Thomasis, contenete
l’elenco dei seguenti capimassa da catturare ad ogni costo:[…]


Il numero
352 del Monitore Napoletano del 12 luglio 1809 riportava:

“Da
ulteriori notizie che il governo ha ricevuto […] infelicemente rileviamo che i
3000 Inglesi furono
preceduti nello sbarco e seguiti nella loro fuga da varie orde di briganti,
vomitati in vari punti da legni inglesi. Non è possibile ridire gli eccessi di
questi cannibali. Dopo aver violato l’onore di quante donne potettero avere tra
le mani, dopo aver portato dappertutto il sacco, il ferro e il fuoco, questi
mostri della specie umana si abbeverarono in CRICHI, casale distante 6 miglia
da Catanzaro, del sangue di 30 infelici fanciulli
, che scannarono e
gettarono nelle fiamme nel dare l’ultimo addio a una terra che li aveva in gran
parte visti nascere.(Cool[.. ] I fatti avvenuti in queste occasioni sono sì
atroci, che il generale Stuart ha sentito la necessità di scusarsene in faccia
all’Europa, proclamando che esso non ha mai autorizzato un piano di guerra sì
orribile”


Il Monitore Napoletano era
un periodico bisettimanale fondato e diretto da Eleonora Fonseca Pimetel,
espressione di un giacobinismo intransigente (9)









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Liber
Mortuorum della Parrocchia di Crichi, pag.37




La
Gazzetta Britannica,
invece,non mancò di esaltare l’oculatezza del
governo di Messina, cioè del generale sir John Stuart, del quartiermastro
generale Coffin, di Ferdinado IV di Borbone e di sua moglie Maria Carolina
d’Austria., criticando la coscrizione obbligatorianelle file di un
esercito stimato straniero ela particolare severità della
Commissione Militare francese nel giudicare i responsabili degli eccessi e i
semplici sospettati locali, non implicati direttamente nella vicenda.

Gioacchino
Murat ordinava l la confisca dei beni dei briganti condannati a morte: solo in
quell’anno ne venivano fucilati 310, “ a vendicare (con la rude etica del
taglione) i Mani degli infelici morti di […] Pedace,[ …] di Crichi […] di
Strongoli, di Reggio
e le atrocità dei popoli barbari” (10)

Nell’Archivio
Borbone
, nella Segreteria Antica e soprattutto nei tanti
manoscritti inediti
della Bibliothèque Nationale de Paris (It.
1.124 e altri
) restano sepolti eventi e drammi di un popolo che la
letteratura romanzesca e di viaggio definiva barbaro e primitivo.

“Belve
umane, i briganti giunsero al sacrificio di 25 bambini figli dei bravi
legionari di Crichi
, vera nuova strage degli innocenti, che ancora
oggi fa salire dai nostri cuori un grido di protesta, che fa eco alla voce
commossa ed eloquente di Giuseppe Poerio, il quale sorse ad accusare e
condannare, in nome dell’umanità offesa”
, concludeva Angela Valente, in “Gioacchino
Murat e l’Italia meridionale”.


Il compianto
pittore Domenico Cefaly - autore nel 1984 della pregevole tela custodita
nella sede municipale di Simeri Crichi - così ha “spiegato” la sua opera:

“in primo
piano, i colori accesi dai riflessi lunari vogliono esaltare la connotazione
realistica delle passioni primordiali degli attori, fotografando i lugubri ceffi
degli assalitori invasati e il sangue che schizza macabro dal “caput mortuum”;
sullo sfondo i toni bassi e scuri provano a nascondere alla vista l’azione del
drappello di cavalieri inglesi al galoppo nelle retrovie, mentre, in basso, il
cane macilento, il barile vuoto, la vozza, il paniere di frutta, il vancale e il
fiore bianco incontaminato testimoniano la caducità della vita e dei beni
materiali, in una sorta di quadretto espressionista autonomo”.






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Rosaria Canino David , fontana Angeli di
Piazza Martiri




Nella
statua-fontana degli “Angeli di Piazza Martiri”, Rosaria Canino David non
ha inteso rappresentare il pathos e il realismo dell’eccidio – come nella tela
di Cefaly – bensì la rinascita degli innocenti, i cui corpi sorgono
dall’acqua e, attraverso la figura materna, “ascendono al cielo”.

Altri
artisti hanno ripreso il tema dell’endemicità del fenomeno del brigantaggio
meridionale e della sua recrudescenza dopo la delusione del passaggio di
Garibaldi e il “tradimento” dello Stato unitario, dell’”ultima plebe
di cui son bassi, non uditi i lamenti
” (Ilario Principe, da P.Colletta).

“Chi sono i
briganti? Ve lo dico io, nato e cresciuto tra essi! Il contadino non ha casa,
non ha campo, non ha letto, non ha vesti, non ha cibo d’uomo, non ha farmachi,
non conosce pan di grano né vivanda di carne […] quando non si accomuni con le
bestie a pascere le radici che gli dà la terra matrigna […] non possiede che un
metro di terra in comune al camposanto! […] Il contadino, non possedendo nulla,
[…] allora (oh, io mentisco) vende la merce umana; esausto l’infame mercato,
piglia il fucile e strugge, rapina, incendia, scanna, stupra, e mangia.[…] In
fondo, nella sua idea bruta, il brigantaggio non è che il progresso o,
temperando la crudezza della parola, il desiderio del meglio.[…] Si facciano i
contadini proprietari […] e il fucile scappa di mano del brigante!”(Benedetto
Croce).

Purtroppo
neanche l’agognata riforma agraria è riuscita ad affrancare le popolazioni
rurali calabresi e meridionali dalla schiavitù del bisogno e dalla chimera della
“terra a chi lavora”.





N O T E








(1) Omelia “rieditata” con dati dell’AS.CZ: Cassa
Sacra- Segreteria Pagana: Cartella 42, Fascicolo 894 (ristrutturazione chiesa e
campanile) e cartella 896 (epidemia)


(2)A.S. CZ: Cassa Sacra, R.Udienza: Cartelle B51- F157/11- D160/12 – G 194 e
altre: nomi dei fittavoli di Crichi,del XVIII secolo: Gioacchino Dolcimo (Bosco
di Simeri), Vittoria de Fazio (mulino ducale); terreni a pascolo detenevano
Antonio Mirante, Bernardo Giulino, Francesco Diodato…. Dai Libri parrocchiali di
Crichi risultano i seguenti matrimoni: Francesco Coppoletta e Antonia Deodato,
Francesco Barbuto e Diana Lopez (genitori di Nicola, in seguito, nel 1839, prete
delatore di L. Settembrini), Francesco Altavilla e Caterina Praticò, Giuseppe
Rubino e Maria Loprete, Nicola Capicotto e Rosa Veraldi, Giuseppe Mantia e
Vittoria Pugliese, Pasquale Giulino e Caterina Pugliese, Nicola Pugliese e Anna
Perricelli, Nicola Giulino e Concetta Lopez, Antonio Vono e Saveria Perricelli,
Pasquale Vono e Studia Alfì, Francesco Poerio e Lucrezia Claudio, Giuseppe
Ferrarello e Angelita Levato, Giuseppe Scalzo e Clorinda Scozzafava).


(3) Maria Diodato, Ippolita Diodato, Paolo Diodato, Anna Poerio, Domenico
Poerio, Antonio Poerio, Francesco Poerio, Lucrezia de Placido, Vittoria Poerio e
due figli, Domenico Radò, Antonio Radò, Mariuzza Poerio….


(4) Giustiziato a Napoli il 28.11.1799.


(5) Mémoire et voyages ou
Lettres écrites à diverses époques, pendant des corse en Suisse, en Calabre, en
Angleterre, et en Cosse
”, Paris, 1830.


(6) Così scriveva, in seguito, Cesare Lombroso, “In Calabria”.


(7) Nel Libro dei Morti (dal 5.6.1793 al 15.4.1822) sono registrati 775
sepolture (su una popolazione stabile di 780/800 abitanti), di cui 361 bambini;
nel decennio 1801-1810 i morti risultano 295, di cui 154 bambini; nel solo 1809
furono registrati 56 morti, di cui 28 bambini (25 deceduti durante o dopo
l’eccidio di luglio). Nel 1811 è registrata la morte di una zingara di 30 anni.
Si ha memoria e documentazione civile della presenza “quasi stanziale” di 3
famiglie Rom, fino agli anni ’50 del secolo scorso: conservavano le loro
tradizioni e parlavano tra di loro nella loro lingua ròmani-vlac, esercitavano
il mestiere di calderaio-forgiaro, facevano battezzare i loro figli da padrini
locali e mostravano una “compatibilità sostenibile” con i Gagé di una comunità
in costante crescita demografica, per effetto delle immigrazioni dai paesi
presilani e del saldo attivo Battesimi/Morti. (mediamente 25/15).


(Cool La cartella 1061 – Intendenza - Ammnistrazione- AS CZ – contiene
un’indagine sulla popolazione di Simeri (535 abitanti, 12 preti, 70
agricoltori, 6 artieri, 8 proprietari non travagliatori) e Crichi (783 abitanti,
2 preti, 80 agricoltori, 5 artieri, 0 proprietari non travagliatori) del periodo
francese e riporta i nomi dei briganti del luogo: Cosimo Mustara e Vincenzo Alfì
di Simeri, Tommaso Coppoletta di Crichi (al seguito della corte borbonica a
Messina dal 1807) e Agostino Talarico di Crichi (affiliato alla banda di Tiriolo,
quella incaricata dell’eccidio dei figli dei legionari “francesi”). Crichi – che
nel catasto onciario del 1741 annoverava 40 casolari - contava già 234 case: cfr
AC Usi Civici CZ: Simeri: Verifica e descrizione dei demani; Grande Archivio di
Na: Catasto Onciario : Simeri - 1741


(9) Presso l’Archivio Storico di Napoli è conservata la collezione del ”
Monitore Napoletano
” dal 1.3.1806 al 1.9.1811, quando venne fuso col “Corriere
di Napoli
”. La collezione completa della “Gazzetta Britannica”,
pubblicata a Messina dal 1808 al 1814, è custodita presso la Biblioteca di
Palermo


(10) Carte di Casa Reale, Fasc. 1312- A Strongoli diversi prigionieri francesi
furono fatti a pezzi e la loro carne data in pasto ai commilitoni ancora
superstiti, fino alla loro completa estinzione.




Ed io cosa posso aggiungere...............
Quanto sangue innocente di nostri conterranei "Meridionali"!!!!!!!!!!!!!!...............................


Saluti

Giovannimaria Ammassari
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Messaggio  Vincenzo D'Aurelio Gio Feb 18, 2010 11:07 am

GioavanMaria è una lettura molto interessante e che non conoscevo affatto.
Ricambio questa gentilezza con uno stupendo articolo a firma di Raffaele Gagliardi (politicadomani.it n. 70/71 giugno-luglio '07).
[Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link]
Vincenzo D'Aurelio
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