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Salento Ebraico

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Messaggio  raffaele.carbotti Mar Ott 04, 2011 3:51 pm

Voglio iniziare con il vostro aiuto una ricerca sulla presenza degli ebrei nel salento prendendo spunto da un articolo della Gazzetta del Mezzogiorno sulle influenze alimentari (e non solo )ebraiche nella cucina pugliese e quindi salentina

Dalla cucina ebraica
buoni piatti di Puglia


di GIACOMO ANNIBALDIS

Forse qualcuno non ci crederà, ma la gastronomia pugliese molto deve agli ebrei. La nostra «caponata», ad esempio, non si discosta - se non per l’introdu - zione di ingredienti secondari - dall’antica «caponata alla giudìa», di cui si hanno sicure testimonianze fin dal Medioevo. Lo afferma Ariel Toaff, che in questi giorni - nell’ambito del «Festival dei Sensi» in Valle d’Itria, appuntamento il 22 a Martina Franca - presenterà un «menù ideale» di cibi pugliesi in debito con la culinaria ebrea.

Figlio del noto rabbino-capo Elio Toaff e ora docente in Israele (conosciuto al grande pubblico per la polemica che ha seguito il suo volume Pasqua di sangue), lo storico rincara la dose: «Non credo possano sussistere dubbi sull’influenza del gusto gastronomico ebraico (e arabo) sulla cucina tradizionale pugliese e sull’introduzione di piatti tipicamente giudaici nei ricettari della Puglia».

Qualche altro piatto esemplare?
«Ricordo il ruolo importante occupato dalla melanzana, considerata in Italia - dal ‘500 e fino ai tempi in cui scriveva Pellegrino Artusi, dine ‘800 - “cibo da ebrei”, nella cucina dell’Italia meridionale. Le notissime melanzane ripiene (farcite con uova, pecorino e pangrattato), vanto della gastronomia della Puglia, compaiono nei ricettari ebraici fin dal Rinascimento. Così pure le cosiddette melanzane alla tarantina, riempite con un composto di cacio grattugiato, olive nere, capperi, menta e basilico».

Ariel Toaff continua a imbandire la tavola, ammannendo tradizionali sapori. La portata del pesce gli fa ricordare lo «scapece», il pesce fritto o bollito per essere poi marinato in aceto, con spezie e aromi.
«Nel ricettario ebraico di David De Pomi, edito a Venezia nel 1575, si celebravano le alici e gli sgombri infarinati e fritti nell’olio d’oliva, con l’aggiunta di aceto, aglio tritato e cipolle affettate. Questi piatti tipici compaiono inalterati nella cucina pugliese, così come le cosiddette alici “ar raganate”, cioè ricoperte di pangrattato, con l’aggiunta di aglio e menta, origano e capperi, olio d’oliva e aceto, per poi essere cotte al forno. Nei libri di cucina ebraici più antichi questa preparazione tipica va sotto il nome di “tortino di alici al forno alla giudìa”».

Non scopriremo ora che ebraiche erano anche le orecchiette ...
«E invece sì. Studi recenti hanno dimostrato la sua introduzione in Puglia dalla Provenza nel Medioevo, negli anni della dominazione normanno- sveva. Ad importare le orecchiette in terra pugliese sarebbero stati gli ebrei di origine provenzale, che avevano inventato in origine questo tipo di pasta legandola ai giorni del loro carnevale (Purim). Non dobbiamo quindi meravigliarci se in molti ricettari della cucina tradizionale ebraica compaiono fino ad oggi le orecchiette alle cime di rapa, giusto vanto della grande arte alimentare pugliese».

Alcuni potrebbero chiederle: esiste davvero una cucina ebraica? Oppure, data la mobilità forzata o volontaria degli ebrei nei secoli e nel Mediterraneo, la loro culinaria non è altro che un’appropriazione di piatti dei vari Paesi in cui sono passati?
« L’esistenza di una identità alimentare ebraica, pur nelle diverse cucine in cui è articolata, da quella degli ebrei nelle terre di lingua tedesca a quella giudeo-italiana di antica data, per non dimenticare quella degli ebrei emigrati dopo il 1492 dalla penisola iberica, non può essere seriamente posta in discussione. L’identità alimentare ebraica si manifestava e si manifesta ancor oggi non soltanto in rifiuti riconducibili ai divieti alimentari biblici, ma anche e soprattutto in adozioni e scelte diverse spesso di grande rilevanza. Non abbiamo quindi a che fare con il limitato ventaglio delle preparazioni culinarie e gastronomiche legate alle festività e alle celebrazioni religiose, di cui portano il segno indiscutibile ed evidente, come il pane azzimo e i piatti tipici del sabato. Infatti gli ebrei nel corso della loro storia hanno saputo misurarsi con scelte alimentari di indiscutibile rilievo, alternative e contrapposte a quelle comunemente adottate dalla società circostante, come la sostituzione della carne di maiale e dei suoi insaccati con quella dell’oca e dei suoi derivati».

Quindi un elemento distintivo della gastronomia ebraica è nei sui divieti: la “kasherut ”. Ci spiega in cosa consiste?
«I divieti alimentari ebraici sono tutti riconducibili alla normativa alimentare della Bibbia. Tra i quadrupedi sono permessi quelli che hanno l’unghia bipartita e sono ruminanti. Quindi bovi, vitelli, agnelli, capretti, montoni, cervi, bufali etc. sono ammessi alla consumazione, mentre la carne di maiale e del cinghiale, quella equina e dei cammelli, così come la carne dei conigli e delle lepri, è da considerarsi proibita. Tra gli animali acquatici sono permessi soltanto i pesci in possesso di pinne e squame. Proibiti sono quindi i cetacei, i pescicani e i gattucci, le anguille, i capitoni e le murene e naturalmente molluschi e crostacei. La mensa ebraica tradizionale bandisce le cozze, i polpi, le seppie, i calamari, i granchi, i gamberi, le vongole, le ostriche e le aragoste. Tra i volatili sono vietati i rapaci oltre a cigni, pellicani e struzzi».

E c’è anche il problema del sangue
«Infatti c’è da aggiungere che anche gli animali permessi vanno macellati con una tecnica speciale che, mediante il taglio dell’esofago e della trachea, consenta la completa fuoruscita del sangue».

Insomma un ebreo non mangerebbe polpi e cozze. Ma spargerebbe parmigiano sul ragù di carne?
«Le norme alimentari ebraiche proibiscono ogni commistione tra cibi di carne e cibi di latte, partendo dal verso biblico “Non cuocerai il capretto nel latte di sua madre”. Non è ammesso servirsi del latte e dei suoi derivati, come burro, panna e formaggio, nelle pietanze a base di carne e perfino di consumare carne e latticini nel corso dello stesso pasto. Dalla mensa ebraica sono quindi banditi i sughi e le salse con carne, parmigiano o pecorino, i brodi di carne coperti di formaggio e quindi ovviamente anche il ragù col parmigiano».

Ce n’è abbastanza di bocconi di storia per capire che, a differenza della nostra, la cucina ebraica è stata messa davvero alla prova... del fuoco.

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raffaele.carbotti

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Messaggio  raffaele.carbotti Mer Ott 05, 2011 10:13 am

Se le oriecchiette e altri usi e consuetudini delle nostre genti sono di origine ebraiche, si suppone quindi che questi ebrei nel Salento non dovevano essere un nucleo sparuto ma abbastanza numerosi ma poi dimenticati o forse rimossi.

Martina Franca: Ariel Toaff al festival dei Sensi che parla delle influenze ebraiche nella cucina pugliese e quindi salentina:

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Che ne pensate?

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Messaggio  Gianfranco Mer Ott 05, 2011 11:27 am

Fantastico! Io sono curioso e totalmente disinformato su questo tema; incredibile quante cose ci siano ancora da raccontare
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Messaggio  Vincenzo D'Aurelio Sab Nov 05, 2011 6:33 pm

Anch'io sono "digiuno" di questo argomento ma, per certo, le comunità ebraiche nel Salento sono da sempre state molto presenti.
Esistono diversi articoli sulla rivista Rinascenza Salentina dal titolo "per una storia degli ebrei di Puglia". Potrei vedere l'indice e segnalarti eventualmente i numeri. cheers
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Messaggio  Giovannimaria Ammassari Dom Nov 06, 2011 3:53 pm

Forse Vincenzo ti riferivi al datato studio di Ettore Vernole pubblicato su Rinascenza Salentina dell’anno 1933:

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io ho trovato quest’altro testo anche datato:

Guerrieri, Giovanni
Gli ebrei a Brindisi ed a Lecce : 1409-1497 : contributo alla storia dell'usura nell'Italia Meridionale / Giovanni Guerrieri
Torino : F.lli Bocca, 1900

Ma vi è moltissima bibliografia sugli Ebrei in Puglia e nel Salento.
Ho visitato anche questo sito web:
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dove è riportata parte di una Tesi di Laurea proprio sugli Ebrei nel Sud italia

Ciao a tutti
Giò Very Happy

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Messaggio  raffaele.carbotti Dom Nov 06, 2011 9:04 pm

Sarebbe interessante se si trovasse,di CAFFORIO, "Una colonia ebraica nella Lama del Fullonese ," (Monte Fellone sorge insieme alla frazione di Specchia Tarantina sull'omonimo colle. È una frazione del comune di Martina Franca distante 15 km (in provincia di Taranto) e Villa Castelli distante 3 km (in provincia di Brindisi), in direzione Sud-Ovest ai piedi del colle è sita la Lama del Fullonese )che prese il nome di <<Fullonese>> dal mestiere esercitato dalla colonia ebraica installatavisi nel 977 e convertitasi poi al cristianesimo.

.... in Voce del popolo di Taranto, A. 53, N. 29, del 18 luglio 1936, p. 2......

a trovarlo?...

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Messaggio  raffaele.carbotti Dom Nov 06, 2011 9:32 pm

Se si gira sul web si trova che ‎"Esiste in Turchia un villaggio composto da migliaia di trulli: è il villaggio di Harran, il cui nome antico è Caran. Duemila anni prima di Cristo, Abramo partì da quel villaggio per raggiungere con il suo popolo la terra di Canaan.
Circa mille anni or sono, quando cioè i bizantini conquistarono la Puglia, fu ricostruito l'attuale Harran, ovvero nello stesso periodo in cui alcune comunità ebraiche si stabilirono fra la provincia di Bari e Taranto. È probabile che proprio in quella occasione l'architettura a trullo sia stata "importata" in Puglia"...

Non ho trovato fonti certe sulle comunità ebraiche che si stabilirono fra la provincia di Bari e Taranto...che avrebbero importato addirittura i trulli e anche secondo gli studi del prof. Toaff anche le "orecchiette"...!

se i trulli e le "orecchiette" sono stati portati da comunità ebraiche portate dai bizantini, queste comunità dovevano essere necessariamente numerose...almeno come i griki della grecia salentina, per influenzare così profondamente il paesaggio e gli usi non solo alimentari di una parte del salento e delle murge! che ne pensate?



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Messaggio  Gianfranco Lun Nov 07, 2011 8:19 am

raffaele.carbotti ha scritto:se i trulli e le "orecchiette" sono stati portati da comunità ebraiche portate dai bizantini, queste comunità dovevano essere necessariamente numerose...almeno come i griki della grecia salentina, per influenzare così profondamente il paesaggio e gli usi non solo alimentari di una parte del salento e delle murge! che ne pensate?

Come ipotesi di ricerca la trovo molto interessante, certo è strano che non vi siano tracce importanti come quelle grike anche sul piano linguistico
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Messaggio  raffaele.carbotti Lun Nov 07, 2011 5:11 pm

sul piano linguistico, le prime tracce scritte del dialetto salentino, a noi pervenute, risalgono all'XI secolo: si tratta di 154 glosse, scritte con caratteri ebraici, contenute in un manoscritto conservato a Parma, la cui datazione si fa risalire intorno al 1072, proveniente da una accademia talmudica di Otranto

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Messaggio  Gianfranco Lun Nov 07, 2011 8:12 pm

raffaele.carbotti ha scritto:sul piano linguistico, le prime tracce scritte del dialetto salentino, a noi pervenute, risalgono all'XI secolo: si tratta di 154 glosse, scritte con caratteri ebraici, contenute in un manoscritto conservato a Parma, la cui datazione si fa risalire intorno al 1072, proveniente da una accademia talmudica di Otranto

quindi se capisco bene alcune di questi scritti contengono parole (o frasi) in dialetto salentino ma scritte con caratteri ebraici? dico bene?
Puoi fare qualche esempio o citare gli estremi di qualche articolo?
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Messaggio  raffaele.carbotti Lun Nov 07, 2011 8:25 pm

Gianfranco, a titolo esemplificativo vedi [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] dove "L'alfabeto ebraico è stato anche probabilmente il primo sistema impiegato per la scrittura del dialetto salentino, come dimostrerebbero alcune glosse di quella che fu l'accademia talmudica di Otranto."...come scritto sopra "si tratta di 154 glosse, scritte con caratteri ebraici, contenute in un manoscritto conservato a Parma, la cui datazione si fa risalire intorno al 1072, proveniente da una accademia talmudica di Otranto. Il salentino usato nelle glosse è ancora in bilico fra latino e volgare, con parecchi grecismi. Alcune di esse specificano nomi di piante, talora chiaramente identificabili (lenticla nigra, cucuzza longa, cucuzza rutunda, ecc.), talora no (tricurgu, scirococcu, ecc.). Altre glosse specificano le diverse operazioni che si possono fare nella coltivazione (pulìgane: "tagliano le sporgenze dell'albero"; sepàrane: "staccano le foglie secche"; assuptìgliane: "coprono di terra fine le radici che si sono scoperte")"...in Revue de linguistique romane, Volume 68, Issue 269 - Volume 69, Issue 276 se ne parla [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] sono anche altre le fonti di cui se parla....

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